Caravaggio – Tra l’oscurità e la luce

LA MOSTRA

A cavallo del Seicento, sull’onda di quel naturalismo definito da Giovanni Pietro Bellori come il «colorire dal naturale», Roma iniziò ad accogliere centinaia di pittori provenienti da ogni dove: Napoli, Bologna, Marche, Spagna, Francia e Olanda; l’Urbe si contraddistinse così nel vasto panorama storico come centro artistico per eccellenza: un’opportunità decisamente singolare per coloro che desideravano una visione esclusiva delle tele pubbliche realizzate dal Merisi.

Sulla scia caravaggesca che ebbe a Roma così forte seguito nacque dunque la sua «cerchia», come la definì storico dell’arte Roberto Longhi: una serie di giovani artisti dalle più disparate origini che, ispirati dalle opere del Merisi e dall’eccentricità di un maestro senza scuola né bottega, si basarono sulla sua eredità pittorica per reinterpretarla e svilupparla in maniera personale. Fin da inizio Seicento, di conseguenza, molti pittori furono conquistati dal linguaggio di Caravaggio, così pioneristico e innovativo rispetto al naturalismo tanto prediletto al tempo: alcuni si avvicinarono allo stile caravaggesco e vi si adagiarono, altri, come Orazio Gentileschi e Guido Reni, lo attraversarono per poi elaborarlo in un proprio idioletto.

Caravaggio nasce nel 1571 in territorio lombardo, ma della sua giovinezza purtroppo si conosce ancora ben poco. La biografia del Merisi inizia, se così si può dire, a ventuno anni, quando con il suo arrivo a Roma nel 1592, la storia del pittore risulta sempre più chiara e accessibile grazie alle numerose informazioni fornite da alcune biografie seicentesche, tra cui quella scritta nel 1642 da Giovanni Baglione, uno dei principali pittori romani del Seicento e legato all’artista lombardo da una forte amicizia, almeno fino a quando un clamoroso dissidio tra i due influì notevolmente sul loro rapporto.

Dopo i primi e difficili anni di inserimento, a 27 anni Caravaggio iniziò finalmente a essere notato dalle alte committenze, fino a farsi incaricare dalle cerchie clericali la realizzazione di tre grandi dipinti per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma raffiguranti la vita di San Matteo. Una prima e autorevole commissione che lo portò a ottenere altri importanti lavori nella capitale, tra cui la Deposizione per la Chiesa di Santa Maria in Valpolicella, oggi esposta ai Musei Vaticani.

Caravaggio sconvolge, e piace: spalanca le tenebre e lascia entrare la luce, scolpisce i corpi con la verità brutale della carne, rompe l’idillio della bellezza classica del naturalismo per raccontare un essere umano fragile, tragico, autentico. Di tutto questo si era reso conto con grande sagacia il poeta Giovan Pietro Bellori, che sul dipinto della Maddalena Penitente del Doria Paamphilj commentò: «Dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola, con le mani in seno in atto di asciugarsi li capelli, la ritrasse in una camera, e aggiungendovi in terra un vasello d’unguenti con molli e gemme, la finse per Maddalena».

Un’interpretazione e una lettura chiara di ciò che Caravaggio bramava: modellare e muovere la realtà che aveva davanti agli occhi, trattare la pittura con la predisposizione di un modo nuovo che si avvicinasse a effetti drammatici e alle esigenze teatrali richieste da quel tempo che, a poco a poco, il pittore mutò nel proprio linguaggio unico e personale.

Ma Caravaggio non è oggi solo noto per la propria capacità con tele e pennelli; egli aveva un temperamento abbastanza turbolento e nella capitale non furono infrequenti gli episodi di risse, violenze, possesso di armi e schiamazzi che culminarono col forse più famoso e grave episodio al Campo Marzio, nel quale ferì mortalmente Ranuccio Tomassoni e per cui fu condannato alla decapitazione.

Per tali ragioni, lungamente Caravaggio subì una critica negativa; è solo in tempi relativamente recenti, nel XX secolo circa, che la sua pittura venne portata alla luce, apprezzata e valorizzata. Così, con l’intento di mostrare l’eredità di Caravaggio nel tempo e valorizzarla, attraverso le quattro sezioni presenti in mostra, si potrà ripercorrere la stagione barocca rappresentata dall’arte di Caravaggio e di coloro che hanno seguito la sua scia, trasformando la sua arte in linguaggi e stili diversi, come per esempio il tenebrismo, una maniera troppo spesso confusa e scambiata per il chiaroscuro caravaggesco, che in realtà si contraddistingue per caratteristiche proprie e peculiari e che si diffuse nei primi anni del Seicento e l’esponente principale fu Jusepe de Ribera, detto anche Lo Spagnoletto; il tenebrismo toccò poi altri artisti, come Georges de La Tour e Valentin de Boulogne.

Alla fine del percorso, il visitatore arriverà a confrontarsi con uno dei più bei capolavori di Michelangelo Merisi: L’incredulità di San Tommaso, realizzata tra il 1600 e il 1601 circa. L’opera emana un’immagine profondamente evocativa e potente sulla condizione umana mostrando un San Tommaso, che, con la testa china sporta in avanti, inserisce un dito nella prima falange.

Oltre a essere un dipinto di grandissima levatura e impatto, L’incredulità di San Tommaso offre anche uno spaccato decisamente interessante sulle vicende critiche e attributive: a lungo dibattuto fra la comunità scientifica che vedeva da un lato la mano del Merisi, dall’altra quella del suo discepolo Prospero Orsi, al dipinto è poi stata decretata la mano di Caravaggio per la grande maggioranza della tela e per le figure principali, senza escludere la possibilità di un aiuto da qualche capace collaboratore, incignandone così il successo e riconoscendone la bellezza.

Attorno all’Incredulità di San Tommaso si sviluppa l’intera mostra che vuole essere – come precedentemente accennato – non solo un omaggio a Caravaggio, ma anche un percorso dove ogni quadro scelto dialoga con quella ferita aperta, con quel gesto preciso sospeso tra realtà e rivelazione. In questo cruciale periodo storico, la tensione tra luce e oscurità non è solo pittorica, ma culturale e spirituale: si dipinge il divino attraverso il corpo, si racconta la morte con occhi umani e reali, si esprime la fede con la carne.

1. L’eco e l’ombra: l’inizio del mito

Aprono la mostra le opere di Giovanni Baglione e di Bartolomeo Manfredi, così da proporre e immergere il visitatore nel caratteristico clima di tensione critica e giudiziaria che ha trasformato il linguaggio caravaggesco da stile a ideologia.

Il primo, Giovanni Baglione si contraddistingue per l’adesione allo stile naturalista che Caravaggio non gradiva. Il rapporto fra i due mostra come l’arte e la vita siano intrecciati; di fatto, il conflitto fra i due culminò in una diatriba in tribunale proprio a causa di un dipinto di aperto caravaggismo realizzato per i gesuiti: La resurrezione. L’evento provocò irrisione e ingiuria nei confronti dell’artista, seguitò poi la querela per diffamazione e il famoso processo. Un accadimento che sotto una prospettiva artistica provocò il definitivo distacco dal caravaggismo e l’avvio di Baglione a una maniera propria.

Dall’altra parte si trova, invece, Bartolomeo Manfredi con la sua opera I giocatori di carte. In questo caso, l’iconografia prende ispirazione dai Bari di Caravaggio nel 1594: un’invenzione geniale del giovane Merisi, frequentatore di taverne e assiduo giocatore, ma che Manfredi rese celeberrima. Particolare storico legato all’opera è che la sorella in esposizione agli Uffizi fu danneggiata a seguito dell’esplosione di una bomba nell’attentato terroristico compiuto da Cosa nostra del 27 maggio 1993.

Nel percorso espositivo lungo la scia caravaggesca, troviamo poi Pietro Paolini, pittore di grande stranezza e nobile invenzione che, durante un soggiorno a Roma negli anni Venti del Cinquecento venne influenzato dalle grandi tele del Maestro, trasferendo il linguaggio caravaggesco nel suo pennello. Paolini rappresenta scene di imbroglioni, sensali e cartomanti, sviluppando il gusto per il bizzarro che lo portò a raggiungere una grandiosa introspezione psicologica.

Altri due personaggi presenti in questa sezione sono Antiveduto Gramatica che, nel 1592, per un breve periodo, ebbe nella sua bottega Caravaggio e Giuseppe Vermiglio, artista attivo nel XVII secolo noto per la sua adesione al linguaggio caravaggesco. Egli si formò a Roma e con molta probabilità legò con Caravaggio assimilando in questo modo il suo stile, il suo crudo realismo e il chiaro scuro, ormai firma del Maestro barocco.

Bartolomeo Manfredi
I giocatori di carte
138×196 cm
1617-18

2. Forme del vero: l’intimità e la carne

Nella seconda sezione si esplorano gli artisti che abbracciano il naturalismo con un approccio lirico e intimo.

L’attenzione per la pittura del Merisi fu così intensa e diffusa che diede origine a un vero movimento, il Caravaggismo, del quale esponente più famoso e stimato è Orazio Gentileschi.

Gentileschi non pervenne subito al Caravaggismo, fu una decisione maturata negli anni: agli inizi del XVII secolo, l’incontro con Caravaggio sancì l’abbandono della pittura tardo-manierista a vantaggio di dei soggetti ripresi dal vero con una pittura in sintonia col naturalismo; tuttavia, non si ebbe mai in Gentileschi un rinnegamento in toto della propria arte passata, preferì invece crearsi uno stile personale aderente al Merisi, divenendo – per così dire – un caravaggista moderato.

Una fanciulla intenta a suonare e un angelo accanto a che le mostra le note musicali da eseguire: La suonatrice può essere considerata un esempio di pittura di genere oppure un ritratto, addirittura una prosopopea dell’ascolto o di Armonia, dea greca dell’armonia e della concordia, ma in essa si vede compiutamente l’assimilazione di Gentileschi a seguito dell’incontro con Caravaggio.

La sezione ospita anche Carlo Saraceni, artista famoso per il pathos e la teatralità delle opere, conferita ai dipinti grazie alla luce dorata contenuta ma intensa. Saraceni fu uno dei primi seguaci di Caravaggio ed ebbe il merito di leggere la pittura del Merisi attraverso un tonalismo veneziano un «caravaggismo in chiave neo-giorgionesca», come lo definì Roberto Longhi.

Anche Francesco Montelatici, noto anche come Cecco Bravo, è situato in questa sezione con una sua opera che incarna a pieno il senso di quest’ultima: influenzato anche lui dal barocco, sviluppò un linguaggio molto personale, ricco di preziosismi cromatici realizzando un’atmosfera onirica e profondamente ricercata.

Ultimo ma non meno importante di questa sezione è Massimo Stanzione, noto anche come Lo Spadarino, uno dei più stretti seguaci di Caravaggio; egli riuscì più di altri a unire la pittura con spiritualità attraverso l’umano, tra dolore e redenzione.

Tre pittori, Gentileschi, Saraceni e Stanzione, che fanno propria l’intuizione di Caravaggio, ma la sottraggono al dramma per farne introspezione, empatia, umanità. Tutti sono interessati al realismo delle figure, spesso ritratte con un’intensa espressività emotiva e una resa concreta dei corpi e dei volti. Le loro opere religiose si distinguono per un approccio intimistico, volto sia a rendere sacre le emozioni umane. Non è una religiosità teatrale, ma raccolta e meditativa.

Orazio Gentileschi
La suonatrice
83,4×105,2 cm

3. Luce feroce: il tenebrismo tragico tra Spagna, Francia e Olanda

Nella terza sezione, viene indagato il modo in cui pittori esteri, provenienti da Spagna, Olanda e Francia, hanno rielaborato, rifiutato o trasformato il suo linguaggio in qualcosa di nuovo.

Già nel primo Seicento, rispetto alle città d’Europa Roma rappresentava una meta di forte attrattiva, tanto che molti artisti trattavano il viaggio per arrivarvici come se fosse un vero e proprio pellegrinaggio artistico volto a ripercorrere le orme di grandi maestri come Michelangelo, Raffaello e Caravaggio. Lo studio e l’analisi della pittura di Caravaggio non fu dunque solo una pura imitazione del naturale: essi approfondirono e si immersero pienamente nel realismo pionieristico del Merisi, indagando sempre più la sua brutale realtà, la teatralità e i giochi di luci. Per tali ragioni, la sezione è volutamente cupa e immersiva, dedicata agli autori che hanno portato il naturalismo verso un processo di creazione innovativa.

Vengono qui esposti artisti come Jusepe de Ribera, detto Lo Spagnoletto, che arrivò a Napoli intorno al 1616 e fu segnato in modo profondo dall’uso del chiaroscuro e dall’intensa drammaticità scenografica del Maestro. In esposizione, il visitatore potrà ammirare il San Pietro penitente, dove il Santo appare con le mani intrecciate sul petto in segno di preghiera o supplica; l’atmosfera generale è segnata da una profonda drammaticità sottolineata da un uso sapiente della luce caravaggesca che isola la figura nello spazio.

Il caravaggismo prese piede anche in ambito francese: attraverso le opere, il visitatore potrà immergersi nel tenebriamo elegante, quasi filosofico di de Boulogne; egli reinterpreta l’uso della pittura caravaggesca conferendo maggiore intensità e drammaticità, andando oltre il noto chiaro scuro: un vero teatro seicentesco ricco di proiezioni, voci, musiche barocche e drammaticità.

Altro protagonista della Francia barocca fu Trophime Bigot, detto anche il Candlelight Master, una definizione che incarna al meglio il registro pittorico dell’autore e che ben si può notare nella sua Incredulità di San Tommaso, dove – a differenza del Caravaggio – la fonte di luce, in questo caso una candela, è rappresentata all’interno del dipinto.

Sempre restando nella Francia del XVII secolo, questa sezione viene arricchita da un’opera del pittore Claude Vignon, uno dei principali esponenti del caravaggismo, movimento artistico che attingeva dallo stile e dal linguaggio pionieristico del maestro italiano Michelangelo Merisi.

Valentin de Boulogne
Scena
116,8×166,4
XVII sec

4. Teatro del chiaroscuro — Bologna tra dramma e grazia

Nella penultima sezione il visitatore potrà confrontarsi con la scuola bolognese e la sua relazione dialettica con Caravaggio, ammirando alcuni dei protagonisti più noti ed eccentrici del Seicento, come Guido Reni, il Guercino e Simone Cantarini, detto il Pesarese.

Guido Reni recupera il Rinascimento in chiave barocca. Si osservi l’opera in esposizion, Loth e le sue figlie: un dipinto che mostra la dolcezza e la grazia del viso delle fanciulle grazie ai sapienti giochi col chiaro scuro. La consistenza tenebrista è presente nello sfondo e nei contorni marcati dei volti, ma il Reni sviluppa uno stile completamente personale: ne sono esempi il recupero dalla tradizione veneta del 1500 nella mezza figura e l’uso di soluzioni caravaggesche rappresentate ma equilibrata nello stile personale e idealizzante dell’artista.

Equilibrate e idealizzate.

Dall’altro lato,il Guercino realizza opere intrise di una spiritualità serena: il San Sebastiano soccorso da due angeli, pur partendo da uno stile caravaggesco, trasforma la rappresentazione attraverso una raffigurazione idealizzante, capace di trasmettere grazia e serenità unendo al movimento la tensione narrativa. Nel caso del dipinto esposto l’artista rappresenta il martire cristiano mentre viene curato dagli angeli che dolcemente rimuovono le frecce dal suo corpo: un’iconografia legata al tema della guarigione e della fede. Una tela dove si possono leggere sottili sfumature che indicano una resa più morbida e plastica, ad esempio nelle vesti degli angeli o nella faccia ritorta, colta nella piena volumetria che orna la tunica gialla. Non è un rifiuto del naturalismo, ma una trasfigurazione della realtà, una ricerca della bellezza e della grazia nel rapporto con la luce.

Completa questo dialogo artistico tra luci e ombre Simone Cantarini, il cui San Girolamo rappresenta una sintesi decisamente compiuta tra naturalismo caravaggesco e idealismo classico. Il Santo Dottore della Chiesa è qui raffigurato nel momento dell’estasi contemplativa, mentre la luce radente ne scolpisce i volumi del corpo ascetico e ne illumina il volto. Cantarini attinge dal repertorio caravaggesco la forza espressiva del chiaroscuro e la verità del dato naturalistico, ma filtra questi elementi attraverso una sensibilità più delicata e aristocratica, come ad esempio mostra la carnagione del santo, che pur segnata dalla penitenza mantiene una nobiltà formale andando coì oltre il realismo più schietto. La composizione rivela inoltre l’influenza della grande tradizione emiliana nell’equilibrio delle masse e nella sapiente orchestrazione degli elementi simbolici, come il teschio, i libri e il crocifisso, che fanno rientrare la rappresentazione in un’iconografia rinnovata, ma in rapporto con quella tradizionale.

Guido Reni e Bottega
Loth e le sue figlie
116×149 cm
1615-1618 circa

5. IL TOCCO DELLA VERITÀ

Nell’ultima sezione della mostra, è ospitata l’opera principale dell’allestimento: L’incredulità di San Tommaso non è solo un capolavoro di Caravaggio, è un gesto umano profondamente attuale, perché alla fine come Tommaso anche noi abbiamo bisogno di vedere, di toccare con mano per capire la verità. La pittura, da Caravaggio a chi lo ha seguito, ha raccolto questa urgenza, ha raccontato e tramandato la tensione tra visibile e invisibile, tra fede e prova, tra carne e verità. Con questa opera il Merisi coglie l’istante con una forza teatrale e una precisione anatomica sconvolgente: la pelle viene scavata dalla luce, la tensione che si evince dai muscoli facciali e dai corpi esce dal dipinto. Un’opera per Caravaggio per assurdo più contenuta del solito, un’opera che non grida, ma sussurra a San Tommaso e a noi di guardare, toccare e credere. Dopotutto, la mostra stessa è un invito a fermarsi davanti al gesto, a seguire il dito di Tommaso nel suo percorso, a riscoprire la forza delle immagini come strumenti di consapevolezza.



Il Teatro Popolare Samonà si trova in Via Agatocle, 85, nel centro storico di Sciacca.
Facilmente raggiungibile a piedi da qualunque punto del centro città.